Lettera al giornale Avvenire
Sprecare le fatiche, i drammi e le gioie: ecco ciò che può fare un anno orribile
Marco Tarquinio sabato 2 gennaio 2021
Caro direttore,
mi chiamo Alessandro, sono sposato con Giulia dal 29 febbraio e il 12 dicembre è nato Pietro. Le scrivo mentre il 2020 sta per terminare. Stamattina, mentre cercavo di destreggiarmi tra pannolini, pulizie, vestitini da smacchiare e regali da sistemare, ho sentito mia moglie prendersela col televisore, dandogli del “cretino”. Sono entrato in soggiorno, temendo che parlare con gli oggetti potesse essere uno degli effetti collaterali delle recenti notti insonni: per fortuna invece il bersaglio delle invettive della mia signora era un signore, l’ennesimo, che aveva definito questo 2020 un «anno orribile», annunciando l’inizio di un nuovo tempo di speranza (grazie al vaccino). Mi son chiesto perché queste affermazioni ci suonassero stonate e ci ferissero così tanto. Sicuramente la storia della nostra famiglia, germogliata con letizia tenace in questo anno faticoso, ci impedisce di definire il 2020 orribile. Tuttavia non credo che ci sia solo questo. Mi vengono in mente le parole del Papa: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla». In questi mesi ho vissuto con i miei alunni di seconda media la grande impresa di non perdere tempo, di non accontentarsi di resistere e aspettare in apnea che passasse la tempesta. Una decina di studenti di dodici anni ha iniziato a scrivere un giornale, “The Hope”, cioè “La Speranza”, e non perché “andrà tutto bene”, ma perché il bene c’è, e, insieme, ce lo dobbiamo testimoniare e ricordare. Quel piccolo giornale ha lo scopo di far alzare lo sguardo, non per ignorare il problema ma per guardarlo dalla giusta prospettiva, nella sua interezza. I ragazzi hanno scelto come motto una frase di Vaclav Havel: «La speranza non è la stessa cosa dell’ottimismo. Non si tratta della convinzione che una certa cosa andrà a finire bene, ma della certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire».
Nel 2020 è morta anche mia nonna, e non abbiamo potuto celebrare il funerale. Abbiamo perso parenti di amici, i miei suoceri sono stati in ospedale, ci siamo dovuti sposare con pochi invitati, io non ho mai potuto accompagnare mia moglie alle visite della gravidanza… insomma, non ci sono state risparmiate le fatiche. Ma capisco che quello che permette di non voler gettare nella spazzatura i 366 lunghi giorni che abbiamo vissuto e attraversato è la certezza che c’è un senso. Da cercare, scoprire, vivere.
Possono guardare in faccia quest’anno solo coloro che non pensano che la morte sia la tragedia definitiva, e che l’antidoto sia il santo vaccino. Viene in mente “L’anno che verrà” di Lucio Dalla. Penso alla fine della canzone: «Vedi caro amico / cosa si deve inventare / per poter riderci sopra / per continuare a sperare. / E se quest’anno poi passasse in un istante, / vedi, amico mio / come diventa importante / che in questo istante ci sia anch’io. / L’anno che sta arrivando / tra un anno passerà. / Io mi sto preparando / è questa la novità». La novità per me di quest’anno è, innanzitutto, desiderare di non sprecare l’istante, essendoci dentro con tutto il mio cuore, che l’annus horribilis ha reso più vero, libero, bisognoso, desto.
Alessandro Galimberti